L’apocalisse a portata di click

Nel libro ‘After the End: Representations of Post-Apocalypse’, James Berger fa un’affermazione interessante: «le rappresentazioni apocalittiche prendono forma in momenti di crisi, durante situazioni di disagio sociale e politico che alimenterebbero un desiderio di cambiamento». Basta fare mente locale, per capire quanto questa analisi sia corretta. Senza andare troppo lontano nel tempo, dal 20008, anno in cui esplode la crisi economica mondiale, i prodotti narrativi che parlano di apocalisse sono aumentati a dismisura.

D’altronde l’horror, di cui il post-apocalittico possiamo considerare un sottogenere, è sempre stato un genere considerato metaforico. Si parla di mostri, per raffigurare paure reali. Dall’esplosione della bomba atomica, che serviva per far capire quali potevano essere i rischi ultimi della Guerra Fredda riprendendo le tragedie di Hiroshima e Nagasaki e trasferendole in Occidente, agli zombie che secondo Romero rappresentavano i consumatori senza coscienza guidati ormai dal solo istinto primordiale, appunto, del ‘consumo’. Oltre ai libri e ai film, si sono aggiunti i fumetti e più di recente le serie tv, che ormai non rappresentano più solamente prodotti narrativi di largo consumo, ma hanno una qualità sempre più alta e sono diventate terreno di sperimentazione.

Nutriti di questo immaginario sempre più raffinato e crudo allo stesso tempo, dimentichi ormai degli scenari di guerra che solo pochi nonni di qualcuno possono ricordare in maniera vivida, ci capita ogni anno la notizia di una malattia, proveniente da qualche angolo sperduto del mondo, che può essere potenzialmente minacciosa per i nostri consumi, le nostre vite, i nostri progetti. Quella malattia che può farci piombare in un film horror distopico post-apocalittico in pochi giorni o poche ore. Basta fare l’elenco di quelle che negli ultimi 25 anni sono state protagoniste sui giornali: la febbre suina, la mucca pazza, il virus Zika, il virus Dengue, l’aviaria, la sars, l’ebola e adesso il coronavirus. Ogni volta si riaccende la paura, che viene tenuta lontana anche dal semplice fatto che molto di rado una di queste malattie approda nelle nostre coste.

Sono bastati però poco meno di 200 casi per creare delle vere e proprie scene di isteria ad ogni latitudine della penisola. Amuchina venduta a prezzi di spaccio, supermercati presi d’assalto, scene di straordinario razzismo, esercizi commerciali chiusi. Viene però da chiedersi, visto il profluvio di opere horror a cui abbiamo assistito nel corso degli ultimi 12 anni: quali sono i comportamenti che sono stati influenzati dal nostro immaginario? E come il racconto di questa vicenda, sui media, è frutto di tutto ciò che abbiamo già visto e sentito nelle opere di fiction?

Basti pensare che semplicemente cambiando canale, oggi, potremmo incontrare un telegiornale che parla in maniera allarmata di coronavirus con lo stesso tono di un telegiornale di fiction, inserito in una trasmissione, che parla di un’altra malattia contagiosissima e mortale. L’apocalisse, insomma, a portata di click.

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