Racconti sulla Luna #1 – La luna, ah, la luna!

Vita tra le pagine di un’agenda, umori appesi ai fili degli incontri in corridoi liceali, pomeriggi in sale ippiche zeppe d’anime vuote, riccioli di lamiere sensoriali e segatura elettronica. Tutti futuri ancora sconosciuti mentre dalla stanza osservo la luna che, anche questa sera, anticipa il tramonto e si spartisce il cielo con un incerto sole rosso. C’è qualcosa che si muove, qualcosa che non dovrei poter vedere eppure è lì che orbita intorno a quella faccia bianca di formaggio, la fisso incantato e incatenato dal terrore.

Come faccio a rivelarlo? Non posso. Sarà colpa dei cartoni animati, Silvestro, Ernesto Sparalesto, I Pronipoti, saranno i troppi libri d’avventura, i sogni a occhi aperti, sarà il mio nome, Giulio, come Verne o sarà che ho digerito male la merenda, pane di segale e troppo burro, forse anche la gazzosa fredda, ma io quella navicella argentata a tronco di cono la vedo davvero, ne distinguo perfino i bulloni d’acciaio che serrano gli oblò alla fiancata e le zampette retratte che serviranno all’allunaggio. Se mai accadrà.

Controllo che non ci sia nessuno alle mie spalle, mi avvicino cauto alla porta finestra e tento un richiamo, un canto, uno stridio di falaropo dal becco sottile, poi schiaccio il naso alla finestra. Tre ante a libro ancora chiuse, vetri lucenti senza aloni, orizzonte limpido e la luna. Là, con quell’impossibile rapporto dimensionale. Forse un’illusione prospettica, forse magia, ma nulla mi toglie dalla testa che sia vero ciò che vedo, che sia futuro prossimo, che io possa anticipare la realtà.

E mi spavento.

Mi infilo sotto al letto e gioco con le ombre lunghe mie e di Ciccio, che muove la testa come a dire: «No!»
Con la sua saggezza d’orso marrone, di fil di ferro e morbido peluche, mi consiglia di dimenticare, di stare ad aspettare seduto sul ciglio del pianeta. «Vedrai — mi dice — prima o poi trasmetteranno tutto alla TV.»
«Micione dove sei?»
Ecco, Zia mi cerca. Ora esco dalla stanza, raccolgo quattro cose e scendo in cortile ad aspettare mamma. Cercherò di non sporcarmi, di non farmi male, di non litigare con Massimino, il figlio dei vicini, di non pedalare oltre il sentiero, pagherò senza fiatare il conto delle foglie alla dogana, mi siederò sui gradini per raccontare questa visione a Selene, quella della villetta all’angolo, infilando qualche briciola di lei nella mia storia.

Lei non mi spaventa, con lei posso parlare, mi capirà, è grande come me e in più ha la gonna.

Mercoledì 28 Maggio 1969

Marco Berrettini

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